La rubrica del volontario – Il Metodo Augustus (Parte 2) – I CCS, COC, COM e la DI.COMA.C.
Il coordinamento delle componenti del Servizio nazionale della Protezione Civile, avviene, ai vari livelli territoriali e funzionali, attraverso il cosiddetto “Metodo Augustus”, che permette ai rappresentanti di ogni “funzione operativa” (Sanità, Volontariato, Telecomunicazioni, …) di interagire direttamente tra loro ai diversi “tavoli decisionali” e nelle sale operative dei vari livelli come il Centro Coordinamento dei Soccorsi (CCS), il Centro Operativo Comunale (COC) ed il Centro Operativo Misto (COM), avviando così in tempo reale processi decisionali collaborativi.
Dal nome dell’Imperatore Augusto, che fu il primo ad instituire i “tavoli consultivi” tra i suoi collaboratori, il metodo ha già dimostrato la sua ottima funzionalità in occasione delle più recenti calamità che hanno colpito il nostro Paese. Augusto sosteneva inoltre che: «Il valore della pianificazione diminuisce con l’aumentare della complessità degli eventi». Proprio per questo si distingue per la sua semplicità e flessibilità.
– C.O.C. (Centro Operativo Comunale), responsabile delle attività a livello comunale-locale, il cui massimo punto di riferimento è il sindaco o suo delegato (Legge 225/1992 – Art. 15);
– C.O.M. (Centro Operativo Misto), possono essere più di uno e costituiti ad hoc per essere il più possibile vicino al luogo dell’evento.
– C.C.S. (Centro Coordinamento dei Soccorsi), è l’organo principale a livello provinciale ed è presieduto dal prefetto o suo delegato;
A questi si aggiunge il COR (Centro Operativo Regionale) per emergenze che coinvolgono più province, presieduto dal presidente della regione o suo delegato e la Di.Coma.C., la Direzione di Comando e Controllo, organo decisionale di livello nazionale attivato nelle grandi calamità (e situata solitamente presso la sede del Dipartimento di Protezione Civile, a Roma; eccezionalmente, può essere proiettata nelle retrovie del teatro operativo).
Esistono, a livello intermedio tra COM/CCS e DICOMAC, le Sale Operative Regionali (anche se la maggior parte delle funzioni di coordinamento diretto sul territorio sono svolte a livello COM/CCS). Ognuno di questi tipi di Centro, ai vari livelli, è solitamente costituito su una sezione ‘Strategia’ (con i responsabili di funzione) ed una ‘Operativa’ (con operatori e supporti logistici necessari per garantire i collegamenti, la continuità operativa, il supporto alle funzioni decisionali).
Questo metodo prevede varie fasi, prima su tutte la definizione dello scenario ovvero l’area che deve essere sottoposta a pianificazione, successivamente l’individuazione dei rischi peculiari all’area in questione e per ultimo il dispositivo ovvero ‘chi fa che cosa?’.
L’origine
Nati originariamente come centri operativi di “emergenza” (vale a dire strutture di supporto e coordinamento operativo istituite e organizzate esclusivamente in piena fase gestionale dell’emergenza a seguito di eventi catastrofici), si è passati nel tempo ad un’interpretazione più ampia del termine che coinvolge anche strutture e ripartizioni organizzative di una o più amministrazioni locali nelle attività di costruzione del sistema locale di Protezione Civile nonché di pianificazione dell’emergenza da effettuare nel tempo ordinario.
L’uso del centro operativo deriva in ogni caso dall’esperienza commissariale del Friuli e dell’Irpinia. Per fare il caso dell’Irpinia, in quella gestione emergenziale seguita al terremoto del 23 novembre 1980, il sistema di soccorsi fu organizzato in modo piramidale, con un COC (Centro Operativo Commissariale) da cui dipendevano i COP (Centri Operativi Provinciali) suddivisi a loro volta in COS (Centri Operativi di Settore), che, a loro volta, coordinavano fino a dieci comuni gravemente danneggiati o da dieci a venti comuni meno danneggiati. Nei diversi centri operavano, ai rispettivi livelli, tutte le amministrazioni coinvolte nei soccorsi che necessitavano naturalmente di essere coordinate sotto un’unica direzione.
Un modello misto, quindi, da istituire esclusivamente dopo l’evento a seconda delle esigenze osservate e, necessariamente, di carattere temporaneo, poi ripreso nel Regolamento di attuazione della legge 996/70, promulgato pochi mesi dopo il terremoto (DPR 66/81, art. 14: «Il prefetto si avvale della collaborazione dei rappresentanti delle amministrazioni e degli enti pubblici per l’organizzazione, a livello provinciale e, se necessario, a livello comunale o intercomunale, di strumenti di coordinamento provvisori, per il tempo dell’emergenza, che assumono la denominazione, rispettivamente, di Centro di Coordinamento Soccorsi (CCS) e Centro Operativo Misto (COM)».
Con il susseguirsi delle emergenza in Italia e con l’uso consolidato dei COM di nomina prefettizia, si giunge alla fine degli anni ’90, periodo nel quale si diffonde la conoscenza e l’utilizzo del noto “Metodo Augustus” per la pianificazione dell’emergenza. In analogia con l’organo misto di derivazione irpina (il COS) e il suo gemello previsto dal decreto 66/81 (il COM), questo strumento di coordinamento delle componenti del Servizio nazionale della Protezione Civile introduce il COC (Centro Operativo Comunale), inteso come struttura operativa del comune in cui si organizzano – sia nel tempo ordinario che sotto emergenza – le attività di protezione civile. Anche in questo caso, il confronto con il COC irpino, più vicino all’attuale Direzione Di Comando e Controllo (DI.COMA.C.), struttura centrale mobile attivata solo a seguito di grandi eventi, è inopportuna.
Dall’avvento del decreto legislativo 31 marzo1998 n.112, meglio noto come “Decreto Bassanini”, e della diffusione delle attività organizzative degli enti locali in materia di Protezione Civile, il COM ha ormai acquisito una pluralità di significati, che sono legati di volta in volta all’uso che se ne intende fare: struttura operativa comunale (per comuni di una certa dimensione) o intercomunale per l’emergenza; sede del Centro intercomunale organizzato presso la comunità montana, sede di una gestione associata di funzioni su convenzione (cfr. testo Unico sull’ordinamento degli Enti locali) e addirittura ripartizione territoriale preventiva di zone colpite ove organizzare i soccorsi, all’interno di scenari di evento conosciuti, attesi e pianificati a livello nazionale, regionale o provinciale.
Più chiara è, invece, la connotazione del CCS, che fa un chiaro riferimento alla struttura di soccorso che si organizza intorno al prefetto a livello provinciale, e che ricorda il COP dell’Irpinia. Con la progressiva perdita di efficienza e funzionalità del DPR 66/81, superato dalla ben più ampia normativa successiva, nessuno dei termini citati, così come i relativi modelli cui fanno riferimento, può definirsi a rigore di legge come obbligatorio: si tratta ormai esclusivamente di nomi con i quali vengono indicate alcune modalità di organizzazione delle risorse locali che ciascuna realtà amministrativa può scegliere abbastanza liberamente.
Al di là, quindi, dei termini e significati attribuiti nel tempo alle varie strutture, è importante che ad ogni livello esista una struttura operativa, capace di funzionare e che consenta di articolare tempestivamente una serie di risposte operative grazie alla presenza sul territorio di centri organizzati preventivamente.
Fonte: www1.interno.gov.it – Ministero dell’Interno